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Provenienza: Ancona

Periodo Attività: Dal 1987

Discipline: Writing, Breaking, Djing, Beatmaking

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HHF: Ciao Swift, ti diamo il benvenuto su Italian “Italian Hidden Stories“, la rubrica di Hip Hopera Foundation dedicata alla scoperta delle figure più rappresentative della Cultura Hip Hop in Italia. Innanzitutto grazie per aver accettato il nostro invito e per cominciare ci piacerebbe conoscere il tuo percorso dall’inizio:

Come sei venuto a conoscenza dell’Hip Hop? Qual è stata la prima espressione artistica con la quale sei venuto in contatto e che ti ha suscitato curiosità?

S: Mi ricordo un inverno del 1986, a quel tempo frequentavo la 2media. Come spesso accade per i grandi amori, Il primo contatto con la cultura Hip Hop avvenne per caso. Mi trovavo alla festa di carnevale della mia classe. Tutti indossavamo dei costumi bizzarri e nella baraonda delle maschere piu’ improbabili, vidi un mio amico vestito con una tuta da ginnasstica gialla e blu ed un ombrello chiuso in mano. “Io sono vestito da breaker”, cosi’ mi disse… Da li’ a poco assistetti al primo cerchio di breakin della mia vita. Fu come un sogno : movimenti spaziali di electric boogie si combinarono ad una musica nuova, astratta e cibernetica. “Boing Boom Tsack” dei Kraftwerk fu il pezzo che suono’ nel bel mezzo della festa, Fu lei e la sua danza a rapirmi il cuore determinando l’inizio del mio percorso…

HHF: Quali sono stati gli artisti, i pionieri o gli esponenti che ti hanno formato, all’inizio del tuo percorso?

S: La musica ha da subito toccato delle corde profonde della mia personalità. Quando vidi il breakin fui folgorato come se fosse una magia. La musica divenne una scoperta sempre piu’ avvincente e fu lei l’ arte che rese tutto passionale e possibile. Al tempo possedevo una vecchia Sony C90 con incise delle registrazioni di pezzi Hip Hop sconsociuti conditi da ritmiche cavernose di beatbox. Si trattava di una sola cassetta senza titolo, un forziere traboccante di suoni ruvidi e misteriosi. Fu proprio quella Sony C90 a divenire la mia bibbia ed i suoi interpreti si trasformarono nei miei eroi senza nome e volto. Iniziai a cercare i vinili prima ancora di possedere un giradischi. Fu quello il periodo in cui sviluppai l’ orecchio, memorizzando ciò che sentivo in cassetta per poi cercarlo alla rinfusa, ovunque potessi connettermi con il suono dell’ Hip Hop. Tutto è partito dalla musica e dal “pausing”. Generalmente questa cultura mi ha toccato a piu’ livelli … Ho avuto una profonda ispirazione dallo stile di Parigi, “Nicolas” & “Paris City Breakers”, dalla potenza di “Icey Ice” & “NYC Breakers”, “Crazy Legs” & “Rock Steady Crew”, Maurizio “Next One”, dal writing, “Mode 2”, “Bando”, “Chrome Angelz”, dalle tags e dallo stile di Munchen “Loomit” Vince”, dal lettering di Basel “Dare” & “TWS” e dalle arti prodotte dai pionieri della mia città : “Zart”, “Iron”, “Lil Fly” & “Zulu Crew”. Guardavo loro per imparare ed un semplice “Ciao” fu per anni il mio traguardo.

HHF: Questa rubrica cerca di portare i lettori anche a conoscenza di quelle personalità che non hanno avuto gli onori della ribalta, ma che li avrebbero meritati. Quali “Italian Hidden Sories”, secondo te, andrebbero recuperate assolutamente?

S: La cultura Hip Hop ha da sempre convogliato un nucleo di persone dotate di forte creatività. Ricordo tante pazzie, estremo rispetto e forte senso di appartanenza. Questo fu il mio approccio ed il senso di intolleranza che si respirava in quel periodo ci spinse a cercare di essere accettati dai più forti. Un pomeriggio del 1987 incontrai casualmente un gruppo di b.boys alla fermata dell’ autobus. Ricordo che erano 3-4 persone, cappello di lana in testa e ghetto blaster in mano. Presi il loro stesso autobus e scesi alla loro stessa fermata. Il gruppo aveva la radio accesa, uno di loro batteva le mani a tempo nel mentre si incamminava con gli altri verso una zona disabitata di Ancona. Ero timido, ciò nonostante li seguivo a distanza. Arrivammo davanti ad un garage di un vecchio palazzo abbandonato e vidi altri b.boys presenti sul posto. Cartone a terra, musica e breakin spaziale, fulminante… Dopo diverso tempo mi dissero che quei ragazzi che avevo seguito si chiamavano Antonello e Andrea ed erano i leggendari “Superfly”, i “puffi” di New York. Casualmente erano venuti in Ancona per trovarsi con un pioniere maestro “Doc C” che poi scoprii essere il creatore della mia Sony C 90. I “Superfly”, mitologia di un mondo per pochi, stile devastante, velocità supersonica. Raro vederli, rarissimo incontrarli. Io li vidi per caso … Molti anni piu’ tardi, incontrai Andrea ad un party di capodanno. Lui era entrato nel mondo del fashion e della moda. Ciò nonostante mi feci taggare la shirt ricordandogli quello che avevo visto molti anni prima. Fu la sera in cui feci i miei primi windmills….

HHF: Cosa ha significato nella tua vita essere Hip Hopper e cosa significa oggi, alla luce delle esperienze che hai vissuto?

S: Pensare all’ Hip Hop mi trasporta alla mia adolescenza, un periodo carico di emotività inconsapevole. L’ Hip Hop ha rotto gli indugi della mia timidezza e mi ha portato ad imparare, nel dubbio costante del non saper fare. Ho assorbito un forte senso di rispetto verso i più grandi, maestri diretti ed indiretti incontrati lungo il mio percorso. L’ Hip Hop mi ha dato voglia di arrivare e di essere importante liberando la creatività acerba che era in me. Ho imparato ad essere longevo e perseverante, a leggere e ad ascoltare. L’ Hip Hop mi ha reso felice e triste, mi ha donato amici e nemici, le prime ragazze, un forte senso di appartenenza, competizione, sogno e pazzia. Le mie arti provengono dal distillato di questo mondo e si sono evolute fino ad oggi. Grazie all’ Hip Hop, sono riuscito a plasmare le mie attitudini codificandole in un complesso percorso. Oggi vivo questa realtà come se fosse un bagaglio che mi ha donato gusto e visione, un codice che è parte del mio persare e si riflette nella mia identità. L’ Hip Hop mi ha permesso di trasmettere un idea e di vederla attuata ad un livello successivo.

HHF: Raccontaci un aneddoto legato all’ Hip Hop che pensi meriti di essere ricordato.

S: Quando vidi per la prima volta i “Zulu Crew” di Ancona era il 1987. In quell’ occasione assistetti al saggio di break dance della leggendaria scuola di danza “La Luna Ballerina” di Ancona. Fu il giorno in cui incontrai per la prima volta “Iron Glass”. – “Vuoi diventare come noi? Devi avere forza, passione e costanza…” Grazie a quella frase ruppi gli indugi e decisi di iscrivermi nella stessa scuola l’ anno successivo (1988 ndr). La parole di “Iron” mi hanno permesso di crescere e di diventare uno dei maestri piu’ longevi della stessa scuola. Oggi come ieri, ripeto questa frase a gran parte dei miei allievi .

HHF: Nel tuo percorso con l’ Hip Hop, quali sono state le esperienze più determinanti e che ti hanno portato alla consapevolezza di poter raggiungere i tuoi obiettivi?

S: Gli Zulu Parties hanno aperto la strada alle mie possibilità. All’ inizio frequentavo piccole feste private organizzate nella mia città, poi iniziai ad evolvere le mie aspirazioni partecipando ai parties organizzati in ogni luogo. Di norma erano dei raduni di pazzi invasati animati dalle stesse, folli energie. Riguardo ai parties, ricordo lunghi viaggi in treno, pazzie e momenti di totale isolamento. Durante queste pause mi concentravo sulla mia danza riuscendo a far scorrere l’ adrenalina nel corpo prima ancora di esploderla nel breakin. Bardati di “Kangol”, “Superstars” o “Puma States”, spesso noi bboys ci incontravamo per strada o fuori dei locali. In quel periodo ci si guardava senza saluto, eppure essere riconosciuti ed avere un cenno di rispetto dall’ altro era molto importante. Con il tempo iniziai a conoscere delle persone, alcune molto simili a me, altre appartenenti ad un livello inaccessibile. Fu quello il passaggio vero. La stima e l’ attenzione rivolta da un “big” era il lasciapassare al mondo dei grandi. Se volevi far parte del sogno dell’ Hip Hop, dovevi per forza affilare le tue armi, uniche credenziali per accedere alla dimensione successiva.

HHF: Viviamo in un periodo storico di sovraesposizione mediatica dell’ Hip Hop, che spesso può generare fraintendimenti e confusione. Quale consiglio senti di dare ai ragazzi ed alle ragazze che vorrebbero intraprendere un percorso formativo e artistico costruttivo?

S: “Vuoi diventare come noi? Devi avere forza, passione e costanza…” Io credo che tutto nasca da dentro e che ci sia un attitudine vera a muovere le arti di ogni persona. La cultura Hip Hop ci ha permesso di vedere le cose nel loro lato più crudo e sono sempre le energie a definire il percorso di un artista. Il mio consiglio è quello di sentire cosa si ha dentro. Conoscere le origini delle proprie arti è necessario ma non confonderei la conoscenza con la vera emotività. Partire dalle emozioni più viscerali credo che sia il punto di partenza.

HHF: Abbiamo notato con piacere, che nel progetto Groovin Brothers siete molto teatrali ma mantenendo comunque quell’attitudine ed impronta delle origini, ci racconteresti di più riguardo al progetto e alle finalità che esso si pone?

S: “Groovin Brothers” è uno stato mentale più che un progetto e la sua forza sta nell’attitudine dei suoi componenti. Fortemente legati alle proprie origini, i “Groovin Brohers” si raccontano in un percorso profondo nato dalle radici primarie dello stile Hip Hop anconetano. Una forte componente emotiva lega le arti di ogni suo membro e la codificazione di uno stile di danza sponatneo rappresenta un valore tramandato internamente. La tradizione è uno dei codici fondamentali ed il pensiero creativo si trasforma in energia comune. In merito a questo concetto, la tecnica diventa il solo mezzo al servizio della creatività. A seguito di molte esperienze ed alla propensione alle arti, i “Groovin Brothers” mi hanno aiutato a crescere artisticamente e ad evolvere un linguaggio narrativo personale. Musica ed emotività alimentano il mio processo creativo, un intuizione spesso visionaria e traducibile solo dai suoi membri. Riguardo i “Groovin Brothers”, credo che in un gruppo ognuno abbia la sua responsabilità e nella magia del pensare senza vedere, le mani immerse di un mostro a più teste si bagnano tutte allo stesso modo. Il cinema, il teatro, la letteratura, lo sport e la storia sono le fonti di ispirazione su cui si costruiscono gran parte dei nostri spettacoli. In merito a quest’ ultimi, non esiste una vera sperimentazione di danza in quanto il breakin che si sviluppa è fortemente ricondotto allo stile B.Boy della nostra città. Portiamo in scena uno stile di breakin purista la cui sperimentazione è il fine che la danza assume, non la tecnica con cui essa viene prodotta …

HHF: Ci sono artisti che vedi come dei punti di riferimento non solo professionale, ma anche umano?

S: Sono molto sensibile alla regia, mi piace l’ arte, la storia e lo sport. Un artista per me è colui che attraverso le sue attitudini è in grado di trasmettere una forte emozione, che sia repulsione o applauso. Ci sono alcuni registi contemporanei che mi ispirano a livello emotivo, altri che mi stupiscono per le loro intuizioni visive e musicali. Mi ispira la musica, la storia cruda del passato , le leggende e le gesta di icone dello sport. Mi interessa il senso di chi è andato oltre il mio pensare. In merito agli artisti, ricordo “Zart” come un idolo, il custode dello stile totale di writing, tags e puppets. Fu lui a farmi sognare, prima ancora che lo facessero “Mode 2” e “Dare”. Se pensassi a qualcuno di importante nella mia vita, legato agli affetti dell’ Hip Hop, direi che Andres “Cool 5” è stata la persona di talento che ho sempre guardato. Un mio vero fratello di adolescenza, tanto mi ha dato, molto ho imparato. Il suo pregio era la spontaneità spesso fuori controllo. La scioltezza di mano era avanzata come il mondo di Parigi, fonte di ispirazione molto intensa.

HHF: Pensi che il tuo operato abbia influenzato negli anni qualcuno più giovane? 

S: Io credo di aver toccato le corde emotive di alcune persone. Le generazioni di amanti dell’ Hip Hop si sono spesso confrontati con quello che ho creato in precedenza assimilando un idea oltre la tecnica. Il concetto primario è sempre stato quello di trasmettere un feeling ed un “gusto”. Quando decidemmo di creare “Spirit” io e “Cool 5” mostrammo agli altri una visione, uno stile originale che miscelava gusto e tecnica. Quel modo di intendere le arti, il writing e l’attitudine ci resero importanti a livello emotivo in quanto capaci di orientare il gusto di diverse persone. Nel corso del tempo, generazioni avvicendate hanno assorbito un impronta forte proprio dal punto di vista dell’attiudine. Riguardo il breakin, penso che questa danza abbia subito un processo evolutivo molto veloce per cui tramandare una sola tecnica annullerebbe ogni possibilità di tradizione. Da anni, attraverso “Groovin Brothers”, abbiamo codificato uno stile B.Boy cittadino basato su intuizioni passate. La longevità di questo codice sta proprio nell’ aver trasmesso dei principi saldi tramandati di generazione in generazione. Questo è il mio più grande risultato.

HHF: Secondo te in Ancona, visto che hai vissuto tutte le epoche ed evoluzioni, quale è stato il periodo di maggiore espressione a livello italiano? E secondo te perché oggi non è più così? 

S: Come accennavo in precedenza, l’ Hip Hop ha subito forti evoluzioni non solo stilistiche ma anche emotive. Nel corso degli anni, Ancona ha beneficiato di forti personalità in grado di condurre molte persone a piu’ livelli. Figli del nostro passato, gli anni 90’ ci hanno permesso di esplodere in diverse direzioni. “No Time To Lose” ha rappresentato la sintesi di un percorso condiviso regalandoci una certa notorietà. Fu quello il periodo dell’ apparire e del mostrarsi al mondo dei grandi. Personalità come “Stritti” hanno introdotto nuove tendenze stiilistiche e musicali generando connessioni più aperte in un mondo abbastanza ottuso. La combinazione di alcune personalità molto diverse ha prodotto delle forti energie. Quando “Estro” con suo fratello “Drugo” decise di organizzare “Juice Convention” le cose in Ancona si fecero ancora più serie… Reduci dalle prime edizioni riminesi di “Indelebile, “Juice” divenne l’ appuntamento per antonomasia. In quel periodo il mondo degli Hip Hoppers cercava di radunarsi per liberare ogni sorta di vincolo, fra desiderio di apparire e regolazione di conti in stile far west. Gli anni ’90 hanno aperto il mondo del writing come se fosse una “golden age”… Il fermento esisteva da sempre e “Juice” lo rese ancora più accessibile permettendo l’ incontro con persone di altre città. Rispetto al passato, oggi c’è meno emozione e questa perdita di valori ha contribuito allo sviuppo di nuclei e discipline non connesse fra loro. Credo che la connessione con il mondo dell’ Hip Hop sia diminuita proprio a causa di questa perdita di sensazione, unico motore in grando di accendere la voglia e la frenesia di imparare ogni arte. Nel tempo che fu, l’ Hip Hop assorbiva il nostro essere con le sue discipline : un B.Boy amava il writing, studiava lo stile di tag e si dedicava alla musica. Imparare un “kick” era come creare un nuovo lettering.

HHF: Ti ringraziamo ancora per l’occasione che ci hai concesso e vorremmo chiederti di segnalarci qualche artista emergente, italiano o straniero che hai conosciuto o che hai scoperto e che, secondo te, rappresenta un fulgido esempio di Hip Hopper.

S: Il discorso dell’ emergente è un po’ difficile per me, ciò nonostante ci sono dei ragazzi che si stanno avvicinando ad una certa attitudine stilistica e mentale.

Non mi piace far dei nomi ma all’ interno del nostro percorso formativo sto notando alcune individualità molto interessanti. Come mi dissero un tempo: “Vuoi diventare come noi? Devi avere forza, passione e costanza…” Paolo “SWIFT” – Groovin Brothers.

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